Fotografare luoghi e storie della Sardegna è stata la prerogativa di questa estate, lunga, calda, ma anche fautrice di scoperte e di incontri con personalità intriganti. L’aspetto che preferisco di questo lavoro, in fondo, è proprio questo: il porsi nella posizione dell’ascolto e dell’attesa di eventi che accadano e di storie che si sviluppino.
In questo senso, l’incontro con l’artista e muralista Sergio Putzu è stato molto significativo, ha dato vita a un racconto fotografico estivo. Ho trascorso alcune giornate insieme a lui, seguendo l’intimità del suo lavoro ed entrando in contatto con la sua arte, il suo contributo al muralismo sardo e il suo impegno sociale. Ne è emersa la figura un po’ archetipica dell’artista locale, con le sue sfumature e particolarità, che contribuiscono a rendere il rapporto con la comunità di appartenenza allo stesso tempo conflittuale e viscerale. Grazie alla sua disponibilità ne è nato un piccolo reportage, che racconta il dietro le quinte del suo lavoro, la bellezza semplice e didascalica delle sue opere.
San Gavino Monreale e la sua rinascita
Il paese di origine di Sergio Putzu è San Gavino, un piccolo centro del Medio-Campidano, famoso per la coltivazione dello zafferano e per il suo passato di economia prevalentemente agraria. Oggi vive una fase di rinascita urbana, che prende la forma del muralismo, a cui hanno contribuito negli ultimi anni diversi artisti provenienti da varie parti del mondo. L’obiettivo è la ri-costruzione degli spazi e delle strade del paese; l’intento è renderli vivi, ridonargli lo status di luoghi di incontro per la popolazione.
La magia del racconto visivo
Grazie alle mani sapienti di Sergio Putzu prendono vita dei racconti visivi, vere e proprie scene della vita campestre che raccontano la San Gavino di un tempo: c’è il ricordo del duro lavoro nei campi, il vestito della tradizione locale, il tema della memoria, di ciò che si perde e ciò che rimane. I confini sono meno netti di quelli della tela, vanno oltre, seguono gli spazi dei muri, si modellano sulle superfici dell’ambiente architettonico. Le sue dita diventano pennelli che descrivono le antiche tradizioni della sua infanzia, attraverso i ritratti fedeli degli originali abitanti di quelle strade. In via Eleonora d’Arborea a San Gavino si apre così un racconto lungo tutta una strada.
E si fa semplice e allo stesso tempo chiaro: perché è di tutti ed è rivolto a tutti. Sembra voglia dire che nonostante i cambiamenti del tempo, i suoi personaggi rimangono, con essi le loro storie, che sono un regalo per il paese intero, per la sua memoria collettiva.